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From Medieval Europe
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Odissea di un povero festante

Autore: Marco Francesco Ghisleri

Scritto e diritti acquisiti al mercato di Milano il 7 Aprile 1313.

Se non fosse per ancora qualche fumo alla mente che mi ottenebra parte della coscienza et della favella, sarei lieto di poter dire che li giorni de lo passato Carnevale a Venezia saranno certamente ne la mia memoria quelli più spensierati et divertenti di mia vita...

Ma un fatto devo rendere noto et di breve raccontare, ovverosia come io abbia terminato lo stesso Carnevale et mi sia trovato a peregrinare per italica peninsula in cerca del mio orizzonte.

Le ultime cose che mia mente ricorda, de facto sono legate a la gran festa che la piazza gremita de San Marco de la Serenissima mi ha fissato per sempre in li miei occhi ancora frastornati de lo luccicore et sbaluginio de maschere et luci. Voci festanti in cacofonia de lo mondo intiero nostro, mi vorticavano de attraverso le orecchie in mente, ormai confusa et obscurata de fumi de lo spirito che deliziosa cameriera de appressa locanda ove ero sistemato, me serviva ripetutamente.

La gente, i costumi, la festa, il bere speziato et novissimo, ben presto mi condussero a perdere lo orientamento e lo senso de la realtà. Ultimo ricordo lucido, la cameriera che mi accompagna verso la porta de l’osteria che avea ingresso in un viottolo a le spalle de la gran piazza… poi l’oscurità.

Quando mi son ripreso era quasi alba, et ricordo solo lo rollare de l’imbarcazione che evidentemente me trasportava. Mi affacciai al bordo e m’accorsi che non ero su gondola serenissima, ma su battello in profonde e lontane da terra acque marine. All’orizzonte buio e mare e nulla più. Cercai allora di parlare con lo capitano della nave chiedendo ragioni di quel viaggio ma lo capitano parlava lingua oriunda o de comunque straniera et comprenderci era quasi impossibile. Se non fosse stato per un giovin e magrissimo mozzo che sapea poco de italica lingua, non avrei potuto ottenere de essere sbarcato di presso a un isola con poco più che qualche tozzo de pane et orcio de acqua. Lo stesso mozzo mi accompagnò sulla piccola isoletta e aiutommi a costruire zattera da fortuna che mi permettesse de raggiungere non nuotando la riva italiaca. Quindi egli tornò sulla nave, lasciandomi indicazioni de dirigermi a nordovest e ricordandomi de verificare lo tramonto e lo sorger del sole per determinare mia prossima rotta.

Attesi quindi il sorger del sole e di poi intrapresi lo viaggio per cercare de toccare presto terra et avendo sperantia che non fosse ostile. Et de così fu: mi ritrovai in terra di Ravenna e de poi, gratie ad un viandante che mi offrì un posto sul carro se avessi controllato che le sue bestie sempre restassero legate e al passo con lo carro, riuscii in una mezza giornata de viaggio a giungere de nuovo alla Serenissima cittade.

Ormai deserta con appena li serenizzimi cittadini che riprendevano loro attivitade, avendo io gran pena de aver perso tutto lo mio bagaglio, me precipitai alla locanda ove ero stato ospite li giorni sobrii del carnevale. Ivi appresi che la locandiera avea dato ogni mio oggetto e cosa a damigella italiana che avea soggiornato ultima sera presso di lei e che lei conosceva essere de Milano et spesso sua ospite in li suoi viaggi de commercio. La locandiera inoltre me aggiunse che avea visto la giovin signora, un po’ sorpresa al sentire lo mio nome e che avea preso tutto lo bagaglio e dato ordine a suo messo de spedirlo. Peccato che non avesse udito la destinazione dello stesso!

Pensando così mia mente che la giovin sconosciuta signora potesse aver mandato tutto a Milano, sapendomi milanese come lei, decisi che era ora de partire presto alla volta della capitale meneghina per ricuperare la roba. Preoccupato per aver perso li festeggiamenti della sera prima e de soprattutto de non aver modo de meglio salutare come convenisse lo Doge ospite, scrivve breve messaggio che chiese venisse spedito de massima urgenza al Palazzo Ducale. L’ostessa restò sorpresa per la mia richiesta, ma senza batter ciglio inviò lo piccolo folio et sparì essa stessa dietro le mura della sua cucina borbottando su lo mio modo stranissimo de fare et aggiungendo de altro su lo carattere milanese che non ebbi però a comprendere.

Per farla breve a Voi miei uditori, dicovVi solo che raggiunto che ebbi lo Ducato de Milano ero mal concio et con ancora lerci e trasuenti vestiti del carnevale, senza denari in tasca, vuoto nello stomaco avendo lasciato lo poco pane e acqua al carrettiere, et de sopra tutto senza idea alcuna de dove mie cose potessero essere, mi recai de subito a cercar di guadagnar pagnotta e denari lavorando a pulir le carceri. Solo appresso saria passato de casa per sistemarmi et vedere de recuparare contatto con li Signori di Milano che proprio quella sera avviavano lo Carnevale de Milano.

Ivi giunto a le Carceri, avviandomi per lavorare, fui fermato de la guardia che non mi riconobbe et chiamò lo Milord della Torre, Capitano de la Guardia di Milano et sol’egli, con gran fatica per lo stato meo, ebbe modo de riconoscermi e autorizzarmi a lo lavoro. Le mie motivationi per lo stato et de soprattutto le sue rimostranze per lo facto de non esser passato de casa a darmi sistemata, io cercai de evitare et convincere, ma non sortirono completo successo, apperocché Milord della Torre ascrisse a lo Vassallo per adjornarlo de mia presenza a Milano et de lo mio stato scarsamente presentabile…

Così, al termine de un estenuante turno de lavoro, ottenuta e mangiata scroccante e fresca pagnotta de Milano et avendo in tasca li pochi denati, feci ritorno a la mia abitazione. Ivi giunto, scoprii un messaggio che mi avvisava de recarmi de immediato al mio arrivo a casa, al castello del Vassallo per conferire e riferire de mia situazione e che mie cose erano a Urbino… Ad Urbino! Povero me! Ebbene allora lo Vassallo era venuto a conoscenza et sapea che io ad Urbino aveo de tornare prima del Carnevale Ambrosiano, ma invero, per la disavventura de sopra, non avrei mai potuto arrivarci.

Così, de volo, appena pieno de lo pane ma ancora straccionato nel vestire, mi recai a lo castello. Ivi giungendo sentii canti et balli in corso et pensai che lo Carnevale meneghino avesse de già avuto inizio, imperocché io avessi dimenticato qualche data o informazione. Ne la realtà de facti solo lo castello del Vassallo era festante appoiché il personale de servizio, sapendo de poi essere per la restante parte de lo jorno e per li jorni a venire, semper in pieno servizio, volle, con lo permesso del Vassallo, festare e poi restare in servizio.

Al mio sopraggiunger, malvestito e malconcio per lo viaggio e peregrinare continuo, la guardia del castello grande difficoltà ebbe a riconoscermi, ma de poi, dama de servizio de lo Vassallo, entrante lei per festar, mi riconobbe et chiese de farla me seguire. Scoprii così che lo Vassallo era a corte del Duca Borgia, de poche ora prima convocata per riunione con tutti li dignitari del regno et, con un messaggio che lo messer de casa mi consegnò de gran fretta per tornare a la festa in corso, anche me de qualità de Referente del Sovrano ero atteso!

Questa volta ero divvero in pasticci et guai seri: come avria mai potuto me presentare al cospetto del Duca in siffatte vesti. De certo lor Signorie non sarien state in costumi, ma tutti in livree d’alto rango et tutte prese per li affari de lo regno. Ancora assorto in li miei pensieri, giunsi a lo castello de lo Duca et, de novo come sopra, la guardia, questa volta quasi bastonandomi et ridendo de me, mi fece sì entrare ma per portarmi in gattabuia… se non fosse per un de servi del Palazzo che ebbe a riconoscermi et a sapere che ero de furia atteso nel salone degli Armigeri.

Venni quasi de peso scortato nel salone et appena ingresso che fui, un gran silenzio descese in sala et Milady lo Vassallo, alta et rubra fiera mi si diresse adverso con li occhi de mezzo tra prioccupati et furenti et in volto una piega de bocca che avrei ancor ora difficoltà a definire se de scherno o de seccatura… Poche parole mi rivolse per saluto et dimandare cosa mai accaduto fosse per vedermi et presentarmi in cotale stato a Palazzo… di fortuna che lo Duca non fosse in Salone ancora giunto…

Mi spiegai et cercai brivemente, ma non de troppo evidentemente, di spiegarmi et dare modo de ricever indicazioni, ma di proprio in quel momento a le mie spalle, apertasi porta de li appartamenti de lo Duca, entrovvi in salone stuolo de signori cui seguiva lo Duca in persona. Sbiancando in volto e chinando busto e capo per non anche videre lo sdegno del mio signore, con appresso furiosa signora et amica, vidi li piedi e gambe del mio signore innanzi a me inevitabilmente fermarsi e volgermi invito a ricambiare, alzato, saluto.

Lo mio imbarazzo era fortissimo, et balbuziente et con filo de voce salutai lo mio Signore et spiegai le mie alterne ultimissime vicende. Tutti sentii rider et pigramente commentare li facti, de mentre si avvicinavano per meglio sentire li miei affari al Duca narrati, lo quale, fissandomi in volto de continuo, con aria de ascolto serio et interessato, alla fine, con un sorriso s’espresse massimamente:

   "Di certo potrei dire che Vostre vicende son degne de uno iscitto racconto et novella. De più! Se non fossimo in 
   lo Carnevale nostro Ambrosiano, potria pensare che volete gabbarvi de Noi tutti… et de come saprete, pena per Voi saria la
   berlina et prigione..."

A detta parola, scunfuso, terrorizzato et tremante le mie labbra lasciaron sfuggire:

   "No, mio Sire, de già de lì vengo et dar ho dato de mio de oggi, Vi prego bastommi!" 

e tutti a rider giù se presero la panza! Ed infine lo Duca concluse:

   "Ebbene, vere son le parole: “A Carnevale ogni scherzo vale”! De quindi perdonato andate a ripulirVi et de poi raggiungeteCi, 
   prima in riunione et de poi a lo nostro fianco per iniziar lo Carnevale Ambrosiano vero et proprio!"

De quindi miei ascoltatori et patienti lettori, sappiate che de sotto a molte cose raccontate lo vero et certo de sempre stà, ma non sempre si può esser fortunati de esser a Carnevale! Or un solo breve pensiero a questo nostro Ambrosiano Carnevale in una leggera ode pe lo piacere spero de tutti:

   ODE A MILANO
   Le parole ch’or mia mano iscrive
   vengon fuori a decine
   son per nostre genti native
   et de tutti regni et regioni vicine
   De mia amata et servita Milano
   io ho appreso abitudine
   et un dì spero esser suo cappellano
   et non sol ciambellano
   che fa rider nel profano!
   Tutti noi ben sappiam servire
   et signori non ci priegano
   per lo bene et grande de costruire:
   già nostro animo si pervade
   de la speranza che ci persuade
   a maggior splendor restituire
   Nostro Amato regno e cittade

Onore dunque ai Nostri Signori che ci han chiamato a festare insieme: rendiamo onore a loro e a noi partecipando felici godendo de la festa et de li amici!

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